Fuori dall’ombra

Nuove tendenze dell’architettura a Napoli dal 1945 al 1965

Introduzione all’edizione digitale 2022

Nella sezione “Architettura”, la Mostra costituiva il primo tentativo di ricostruire su basi soprattutto documentarie il discusso e travagliato ventennio 1945-1965. In precedenza, due saggi di Carlo Cocchia (1961) e Renato De Fusco (1971) e la rivista “Urbanistica” n. 65 del 1976, contenevano già riferimenti specifici e criticamente motivati. Mancava invece del tutto una ricognizione sistematica di progetti e documenti presenti negli archivi e negli studi professionali dei progettisti del tempo e dai quali ripartire per una rilettura di quel periodo. L’esito della ricerca trovava accoglimento in oltre cinquanta pannelli di grande formato esposti in Mostra, con materiali in gran parte inediti perché riprodotti dagli originali e raramente da libri e riviste. Per la prima volta, ad esempio, si potevano vedere i progetti del concorso per la Stazione Centrale di Napoli presenti nell’archivio del Ministero dei Trasporti a Roma.

A più di trent’anni di distanza da quell’evento – che alla Mostra associava un Catalogo con centoventi pagine riservate all’Architettura e saggi di Pasquale Belfiore, Benedetto Gravagnuolo, Giacomo Ricci e Gabriella D’Amato – s’è avvertita l’esigenza di dare una forma più moderna e funzionale e una maggiore diffusione a quei materiali cartacei attraverso una loro digitalizzazione e inserimento in una ordinata sequenza narrativa per immagini. Non si tratta d’un semplice aggiornamento del mezzo comunicativo, peraltro sempre utile e importante, ma della necessità di riaprire una riflessione su un capitolo della nostra storia del Novecento che rischia di passare solo come quello delle “mani sulla città” che pur ci furono, violente e smodate. La Mostra portò allora in emersione, e oggi ripropone con questa importante iniziativa dell’ANIAI Campania, una storia parallela fatta di architetture esemplari, di un’antologia dei quartieri di “case popolari” che restano i documenti migliori del nostro secondo Novecento, di architetti che non si arresero a quella “pigra accettazione accademica che pesa su questa meravigliosa città” (Giuseppe Pagano).

Pasquale Belfiore, Curatore della Mostra

Alessandro Castagnaro, Presidente ANIAI (Campania)

Questa edizione digitale è stata prodotta da aniai Campania con il contributo della legge Regionale 19 /2019 della Regione Campania – Direzione Generale Governo del Territorio. La riorganizzazione e digitalizzazione dei materiali presenti in archivio, è stata curata da Renato Piccirillo con Ermes Multimedia digital design per la cultura.

Napoli, Castel Sant’Elmo 9 novembre 1991 – 19 gennaio 1992

La mostra dell’architettura napoletana dal 1945 al 1965 riveste oggi un particolare significato per almeno due motivi.

Il primo, è legato al complesso delle iniziative che in questi ultimi anni si vanno prendendo per ridefinire un ruolo e un senso per la città: l’analogia con il momento della ricostruzione postbellica appare fondata, soprattutto in relazione al significato che occorre dare oggi al confronto.
Nel 1945 l’esigenza di ricostruire “comunque” una città martoriata dagli eventi bellici trovò in un esiguo gruppo di tecnici e di intellettuali una critica presa di posizione. Non si trattava di ricostruire comunque (e dovunque) ma di ridisegnare una prospettiva di sviluppo nel rispetto della peculiarità della forma urbana. La cultura urbanistica del tempo, con il Piano di Luigi Cosenza del 1946, offrì uno strumento non ideologico perché ragionava di strade, case, piazze, verde, architettura della città. La sconfitta di questa linea, ancor prima che nella gestione politico-amministrativa di quegli anni, va cercata forse all’interno della disciplina urbanistica stessa che si è venuta caricando di metodologismo, di partecipazionismo ingenuo, di moralismo gestionale, di ideologia normativa. La separazione di questa città dal mondo delle forme e dalla loro invenzione è stata una perdita ancor più grave della pur rilevante sottrazione di valori
paesistici, storici e architettonici.

Dopo il terremoto del 1980, in nome dell’emergenza, ancora una volta si è imposta una cultura incapace di delineare un rapporto tra scelte politiche e urbanistiche, tra un’ipotesi generale per la città ed una corrispondente idea per il territorio. La mutata storicità dei tempi ha reso articolato e complesso il terreno di confronto: che almeno, nel dopoguerra, appariva più chiaro e sintetico per la riconoscibilità dei ruoli.
L’eclettico dibattito che si è sviluppato nell’ultimo decennio rischia di avvitarsi su se stesso in assenza d’un riconoscibile e condiviso punto di fuga. Alla politica spetta il compito di formulare una strategia che realizzi un’idea di città nei suoi aspetti socio-economici; all’architettura, una strategia che realizzi un’idea di città nei suoi aspetti formali.
Al di là degli esiti negativi e di qualche ingenuo ottimismo nella forza della ragione, l’urbanistica napoletana
del secondo dopoguerra fu capace di proporre una strategia ed un’idea per la città: perciò ricordarla oggi vuole avere, da parte nostra, il senso di una scelta di campo.

Il secondo motivo riguarda in senso più stretto la disciplina architettonica ed il ruolo della Facoltà di Architettura. Gli architetti che hanno operato negli anni Cinquanta e Sessanta avevano tutti in comune la capacità di controllare gli elementi morfologici e tipologici dell’architettura della città. Questa attitudine derivava loro da un insegnamento accademico che sarebbe errato riguardare come mera definizione stilistica. Ciò non li ha resi immuni da errori e
compromissioni, ma è indubbio che la parte migliore di essi riuscì ad intendere correttamente il progetto come strumento sia di intervento che di conoscenza. La Facoltà di Architettura fu sostanzialmente estranea alle vicende d’allora, rinunziando così ad esprimere una delle presenze istituzionali più specifiche e qualificate.

Di segno opposto appare l’attuale condizione. Nel mentre i progetti che si vanno realizzando sono sempre più lontani dalle regole dell’architettura della città per un falso modernismo che li ispira, la Facoltà, nella piena autonomia dell’istituzione universitaria, è oggi referente costante ed autorevole d’ogni ipotesi di trasformazione.
E nella direzione di proporre contributi diretti ed indiretti alla risoluzione dei problemi di Napoli si colloca anche la partecipazione ad iniziative con questa mostra.

Uberto Siola

Colophone
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Progetto realizzato con il contributo della Regione Campania – Direzione Generale Governo del Territorio, ai sensi della L. R. 19/2019